mercoledì 24 febbraio 2016

Scrittori si nasce o si diventa?

Buon giorno Readers&Writers, questa mattina mi sono svegliata con le parole sulla punta delle dita e un'idea che continuava a girarmi in testa e allora eccomi qui, a discutere con voi su una domanda alla quale di certo non esiste una risposta univoca: scrittori si nasce o si diventa?

Bella domanda direte voi! E lo so, bella (in senso quasi ironico) e un po' scomoda.
Lungi da me il volermi considerare l'esperta della situazione, amo definirmi una dilettante in qualsiasi cosa, mi diverto molto di più e io cerco sempre di dedicarmi a ciò che mi diverte; nel caso in cui ciò non sia possibile, trovo un motivo per divertirmi comunque, ma questo è un altro discorso.

Tutti ormai, anche i neonati, sanno che in Italia si legge poco, molto meno che in altri Paesi, ma che abbonda il numero degli scrittori e ogni giorno il numero di libri pubblicati è davvero considerevole. Ci si aspetterebbe una concordanza nella tendenza di questi due gruppi di dati, eppure non è così. Qualcosa non quadra.

Partiamo dall'inizio allora. Perché scriviamo? O meglio, perché pubblichiamo? Il "noi" è d'obbligo perché è una domanda che spesso ho rivolto e rivolgo anche a me stessa.

La scrittura, come ogni attività creativa o artistica che dir si voglia, è senza dubbio in primis un'attività terapeutica. Che si scriva su dei fogli sparsi, su un taccuino, dietro uno scontrino della spesa, in un diario o al pc, scrivere è un'attività catartica e riveste esattamente la stessa funzione che per gli antichi greci aveva il teatro: ci libera. Prendere i propri pensieri, le proprie emozioni e trasferirle altrove ci permette di alleggerirci, ci consente di spostarle ed esaminarle da un'angolazione diversa e, soprattutto quando il carico è doloroso, il beneficio che se ne trae, a livello mentale ed emotivo, è enorme.

Non sempre, ma spesso, in seguito scatta un altro meccanismo: condividere con il mondo quanto abbiamo riversato all'esterno in inchiostro o caratteri Times New Roman. Perché? A questa domanda la risposta non può essere una sola. A volte è l'IO che ci muove. Sì, dobbiamo ammetterlo, non è una vergogna. Un mio insegnante ripeteva sempre che ognuno di noi ha in sé "la luce e l'ombra, aspetti che siamo abituati a considerare buoni e altri che riteniamo cattivi, basta esserne consapevoli perché solo ciò di cui non siamo consapevoli ci danneggia", La dualità è una illusione. Ognuno di noi È, punto. Buono o cattivo sono soltanto giudizi e l'IO, la nostra personalità è bella a prescindere ed è solo quando ne facciamo un uso distorto e non consapevole che diventa ego e lì sono guai. L'IO è crescita, l'ego è ottusità.

Tornando al tema di questo articolo: l'Io ci porta a sperimentare, a provare, a evolvere. E allora non c'è niente di male a voler pubblicare un libro, anzi questo passaggio spesso rappresenta il distacco ultimo da ciò che tanta fatica ci è costato elaborare, lo consegniamo agli altri e ce ne liberiamo quasi del tutto. Venderà una copia o un milione di copie? Lo decideranno i lettori. Ci arriveranno elogi? Ne gioiremo. Ci verranno mosse delle critiche? Ne faremo tesoro per migliorare. Qualcuno ci dirà che è meglio se cambiamo mestiere? Potrebbe essere invidia o potrebbe essere il caso di considerare seriamente la possibilità di tenere la scrittura come qualcosa di privato.

E l'ego invece? L'ego è come un albero che ci nasconde la vista dell'intera foresta. L'ego ci porta ad additare come ignorante o peggio chi non ci apprezza. L'ego ci porta non ad aspirare, ma a pretendere: una pubblicazione importante, apprezzamenti, elogi, successo e fama e guai a chi si azzarda a non giudicare in maniera positiva ciò che scriviamo! Diamine, è il capolavoro del secolo!

Ma poco prima avevo parlato di attività creativa e un'attività creativa presuppone del talento oltre che impegno e studio, tanto impegno e tanto studio. E se di attività creativa si tratta, siamo proprio tutti nati per essere scrittori o no?

A mio parere no e lo dico senza presunzione, non pensiate che io mi autoinserisca in automatico nella schiera degli scrittori perché non è così. Ho sempre scritto, ma da un anno a questa parte, da quando ho iniziato a pubblicare, ho cominciato anche a studiare molto perché "pubblicare" per me è consegnare al pubblico qualcosa che valga la pena leggere. Sì, per il lettore deve valere la pena, per lui, non per me.

Leggo ovunque, sui social, sui blog e sui giornali, di diatribe continue sull'argomento e questo è solo il mio parere. Per me scrittori si nasce, anche quando non sappiamo di esserlo perché non abbiamo mai provato. Occorrono talento e tecnica, ma solo la tecnica non basta. La tecnica è condizione necessaria, ma non sufficiente affinché un libro diventi un libro, affinché ci si possa definire scrittori. La tecnica può permetterci di scrivere un testo stilisticamente perfetto, ma che non emoziona, che non fa sognare, che non coinvolge perché manca di quel quid che solo il talento può fornire. Nessun problema se si scrivono saggi, ma per un romance, per un giallo, per un thriller (per citare solo alcuni generi) come la mettiamo?

Anche il talento da solo non basta perché nessun lettore ama trovarsi davanti testi pieni di errori, ma a questo si può ovviare, basta un po' di umiltà e spirito critico, ma ne parleremo in un altro articolo. Però il solo talento può anche essere sufficiente a volte, proprio perché esso e solo esso ha in sé quella vis unica e un talento, un talento vero, sulla tecnica può migliorare, può essere supportato da professionisti. La sola tecnica no.

E chi decide se abbiamo talento, oltre a coloro che sono esperti del settore?

Ovviamente per me la risposta è una e una sola: i lettori.

E voi, cosa ne pensate?


Elisabetta Barbara De Sanctis



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